L’effetto della pandemia sul lavoro remoto: da stigma a nuovo normale

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Format
Bericht
Lesedauer
3 Minuten
Veröffentlicht am
24. Oktober 2022

Adriana Zilic, MA Scienze della Cultura e della Comunicazione

“The new normal” 

Come si è trasformato il mondo del lavoro negli ultimi due anni? Durante la pandemia molte persone si sono ritrovate a dover lavorare da casa. Per alcuni questa è stata un’esperienza di lavoro completamente nuova, altri invece già l’avevano integrata nella normale routine lavorativa in passato e perciò per loro non è stato un grande cambiamento. Nelle scienze sociali questo è un tema molto discusso, tanto che si parla di un’ ipotetica nuova normalità in un mondo post-COVID, caratterizzata dal lavoro remoto. 

Lo stigma del lavoro flessibile

Perché si parla di un “nuovo normale”, se il telelavoro è una modalità che esiste già da decenni? Lavorare da casa è una tipologia di lavoro flessibile. Il lavoro flessibile comprende, oltre che al lavoro fuori dall’ufficio, anche la possibilità di adattare i propri orari di lavoro alle proprie esigenze o di lavorare a tempo parziale. Nonostante molti studi dimostrano che il lavoro flessibile porta a vantaggi sia per i dipendenti (equilibrio tra la vita lavorativa e quella privata) che per l’organizzazione stessa (efficienza e produttività), esso viene utilizzato meno di quello che ci si aspetta. Ciò viene spiegato con la stigmatizzazione della flessibilità. Secondo la professoressa di sociologia Mary Blair-Loy, così come altri autori delle scienze sociali, questo stigma è basato su stereotipi e ideali di genere, secondo i quali l’uomo è responsabile di “guadagnare la pagnotta” e la donna invece deve dedicarsi ai figli e alle faccende domestiche. Il lavoro flessibile viene quindi associato più spesso alle donne, che per potersi occupare dei figli decidono di non lavorare a tempo pieno, avere orari di lavoro flessibili o lavorare da casa, il che non permetterebbe (secondo lo stigma) di dedicarsi in modo responsabile e devoto al proprio lavoro. Gli uomini che chiedono flessibilità per motivi che non riguardano il lavoro invece vengono giudicati in modo negativo sia dai superiori che dai propri colleghi e colleghe. Un altro ideale che forma lo stigma del lavoro flessibile e che porta a conseguenze per entrambi i sessi è quello del “lavoratore ideale”, caratterizzato da una totale devozione al lavoro. Una persona che fa uso di flessibilità di lavoro viene vista come deviante da questo ideale, il che potrebbe mettere a rischio la posizione lavorativa o la possibilità di ricevere promozioni. 

Molte organizzazioni prima della pandemia non permettevano ai propri dipendenti di lavorare da casa oppure era comunque vista come una speciale eccezione, tanto che alcuni dipendenti la definivano un “lusso”. Questo era causato da una mancanza di fiducia nei dipendenti e dal fatto che la loro produttività era basata sulla loro presenza fisica in ufficio e il numero di ore che dedicavano al lavoro. Naturalmente ci sono anche una serie di altri fattori da considerare, tra i quali l’aspetto finanziario di mettere a disposizione l’attrezzatura necessaria per svolgere il lavoro da remoto (telefono, computer portatile, internet, ecc.).

Quale è stato l’effetto della pandemia

Con lo scoppiare della pandemia nel 2020 le carte sono state rimescolate. I datori di lavoro si sono ritrovati ad essere obbligati, nel limite del possibile, a far lavorare i propri dipendenti da casa, indipendentemente dal loro sesso o età. Il tutto è successo molto velocemente e alcune organizzazioni non erano pronte ad intraprendere un cambiamento del genere. Nonostante una brusca partenza, non ci è voluto molto per dipendenti e superiori per abituarsi alla nuova modalità di lavoro e notare i vantaggi che il lavoro da casa ha portato con sé, cambiando in positivo i loro atteggiamenti e preferenze nei confronti del lavoro remoto. Di conseguenza, una volta tolto l’obbligo del telelavoro, molti datori di lavoro hanno lasciato aperta la possibilità ai propri dipendenti di continuare a lavorare in parte da casa. Questo è stato influenzato anche dal fatto che la pandemia non era del tutto superata e che il telelavoro restava fortemente consigliato. 

Cosa ci riserva il futuro 

La domanda che ci si pone è, una volta superata la pandemia tornerà tutto come prima, oppure se lo stigma della flessibilità verrà una volta per tutte superato? Quello che si può dedurre dopo due anni è che c’è stato un netto aumento di persone che lavorano da casa e che molti dipendenti (dei quali l’attività lavorativa lo permette) vogliono continuare a lavorare da casa tra i due e i tre giorni a settimana. La crescente richiesta e messa in pratica del lavoro remoto potrebbe mettere fine al pregiudizio negativo di questo tipo di flessibilità lavorativa e passare da essere uno stigma ad essere la norma. Le persone che attualmente non vogliono lavorare da casa non sono più frenate dalla paura della stigmatizzazione, ma hanno altre ragioni come la mancanza di uno spazio adeguato, dell’equipaggiamento necessario, delle interazioni umane oppure preferiscono avere una separazione netta tra lavoro e vita privata. Questo aumento dell’utilizzo del lavoro da casa, potrebbe avere un ulteriore potenziale di influire sulle norme culturali riguardanti le divisioni di genere, in particolare è stato osservato che il coinvolgimento dei padri nelle faccende domestiche e la cura dei figli è aumentato durante la pandemia (restando comunque molto più basso di quello delle madri). Un pensiero comune che sembra dominare sia tra i dipendenti che i datori è che il lavoro da casa ha dei vantaggi, ma restano comunque aspetti importanti del lavoro svolto in ufficio. Il modello di lavoro che viene utilizzato da molti viene definito come ibrido, nel quale viene trovato un equilibrio tra lavoro da casa e lavoro in sede. 

Per concludere si può dire che il lavoro remoto è aumentato da quando è cominciata la pandemia, e per quanto riguarda lo stigma della flessibilità invece, sembra che per alcuni aspetti lo stigma sia diminuito, ma non superato. Per far sì che questo accada c’è ancora una lunga strada da percorrere, nella quale individui, organizzazioni, così come le singole nazioni, dovrebbero collaborare per cambiare gli ideali e le norme culturali che stanno alla base di questo problema. 

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